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  PAOLA GHIROTTI

Volli, sempre volli, fortissimamente volli

 

Lo sguardo dolce e un po’ severo di un’autentica donna giapponese, scarsa voglia di parlare di sé e nessuna voglia di farsi fotografare. In compenso, Paola Ghirotti  – fotografa - ha tanta voglia di raccontare ciò che ha visto nella sua vita fatta di viaggi e di dita puntate sul mappamondo, alla scoperta del bello e alla continua riscoperta di sé. Guai a chiederle, però, di scegliere un’esperienza su tutte. Selezionare vuol dire in qualche modo chiudere - riponendo valigie e macchina fotografica - e guardare da lontano, mentre oggi Paola, valigia pronta e macchina in spalla, continua il suo viaggio ininterrotto intorno al mondo cominciato ormai molti anni fa.

 Il suo girovagare questa volta l’ha condotta ad Ischia dove, per qualche settimana, le sale dell’Hotel Continental Terme, sono state impreziosite dalla sua esposizione “Ischia-un omaggio al Giappone”. Un’idea davvero originale quella della mostra, in cui alcune delle più belle foto scattate in Giappone affiancate a quelle scattate in Italia, creano un percorso ricco di inaspettate similitudini. Paola Ghirotti però non è solo un’ottima fotografa, ma come avrete capito, è anche una viaggiatrice incallita, amante ed esperta di cultura giapponese, che da anni si impegna per correggere il tiro di una stampa occidentale troppo presa a stereotipare l’Est, anziché raccontarlo così come è. Il suo impegno e la sua passione, l’hanno portata persino a recarsi nella sua patria d’elezione all’indomani della tragedia del terribile Tsunami del 2011, spinta dal forte desiderio di documentare la verità e di assistere i suoi amici.

 

Come mai hai scelto Ischia come cornice della tua esposizione?

Ischia è un posto magico, sembra di essere davvero fuori dal mondo. Me ne sono innamorata alla follia trascorrendo qui ogni estate in compagnia di mio zio, l'antropologo Guido Cantalamessa Carboni

 

Tuo zio deve essere stato una figura fondamentale della tua vita, sappiamo, infatti, che è con lui che hai compiuto i tuoi primi viaggi.

 

 

Ho cominciato a viaggiare con mio zio all’età di undici anni.  Il nostro primo viaggio è stato in Turchia. Arrivammo lì in nave e poi da lì ci spostammo in macchina, una stupenda Giulia, fino a Troia. Fu un’esperienza che non dimenticherò mai. È da lì che ho cominciato i miei numerosissimi viaggi.

 

Immaginiamo che i paesaggi che ti si paravano dinanzi in questi viaggi dovevano essere tutti diversi e mozzafiato. Dove hai cominciato a fotografare? 

 

Fotografavo già da piccola, fin dai tempi della scuola. Io sono laureata in farmacia, ma la fotografia mi scorreva nelle vene. I miei genitori mi hanno sempre ostacolato e so di avergli dato forse un dispiacere, ma ero molto determinata. Tanto che per il mio primo lavoro, con il regista Peter Greenaway, ho impegnato i miei gioiellini per comprare la mia prima Hasselblad swc.

 

Cosa è che ti ha affascinato di più del Giappone, tanto da dedicargli centinaia di foto e lavori, oltre ad averci vissuto per un bel po’ di tempo?

Dal punto di vista del fotografo, il Giappone è esteticamente impareggiabile. Ma ci sono anche alcuni valori come l’organizzazione, il rispetto delle regole e l’armonia sociale, che lo rendono un posto straordinario. Prima di arrivare in Giappone, lavoravo in Cina, nella regione sud occidentale dello Yunnan. Anche quello è un posto bellissimo per i paesaggi ma soprattutto per la mescolanza etnica, data la vicinanza ai paesi dell’Indocina. In Giappone invece ci sono arrivata per fotografare l’Expo. Me ne sono innamorata subito, anche perché ho conosciuto lì una carissima amica Laura Messina, con cui ho passato dei momenti bellissimi. Lei è sposata con un giapponese e ha un blog che si chiama Giappone mon amour. Quando nel 2011 ci fu la tragedia di Fukushima era grazie a lei che dall’Italia riuscivo a sapere quello che succedeva. In quest’occasione decidemmo di creare un gruppo facebook Giappone Shinjitu, che vuol dire “verità” con cui - monitorando la stampa - abbiamo scoperto che venivano scritte “un sacco di fesserie”. Dal portavoce di Repubblica, che associava storie inventate a nomi di personaggi reali, alla giornalista che ha persino vinto un premio copiando la storia scritta da un altro, senza essere neppure mai stata nei luoghi che citava. Trovo che questo sia un comportamento deplorevole e irrispettoso nei confronti dei tanti giornalisti che non riescono ad avere i loro stessi privilegi.

 

Come vivono e vivevano le donne dei paesi che hai visitato?

Io, personalmente, non ho avuto mai alcuna difficoltà, neppure in Algeria o in Tunisia. In Algeria viaggiavo da sola per un lavoro di archeologia. Mi chiamarono e mi dissero che dovevo fare un lavoro sulle città romane in questi Paesi in soli 10 giorni. Non ci pensai due volte.  Ho viaggiato da sola nei pulmini, senza riscontrare alcuna difficoltà. In Marocco sono arrivata nel periodo successivo all’11 settembre, quando c’erano pochissimi turisti, e l’ho girato in lungo e in largo. Ammetto di essere stata molto fortunata.

Per quel che riguarda le donne giapponesi, io non ho vissuto nelle grandi città ma nei piccoli centri le donne si riuniscono spesso e c’è una solidarietà femminile pazzesca. Le donne giapponesi poi sono davvero “toste e risolute”.

 

Volendo fare un paragone con la situazione delle donne in Italia?

Io non sono femminista, ma sono per la donna. Trovo che le donne italiane abbiano grossi limiti. Le donne di una volta, secondo me, erano quasi più libere di quelle di oggi. Attualmente, il tentativo di infrangere le regole che erano delle nostre mamme, ci trascina verso un’ostentazione quasi lesiva della nostra femminilità. Faccio un esempio: che senso ha ricoprirsi il corpo di brutti tatuaggi? Non riesco a credere che per ostentare libertà si finisca per ledere l’estetica e il bello. Quello che manca alle donne italiane oggi è la possibilità di scegliere. Essere madri o donne in carriera ha secondo me lo stesso valore, l’importante è che si sia libere di scegliere davvero. O di scegliere di essere entrambe le cose, senza le limitazioni e le costanti difficoltà che questo Paese ci impone. Le donne che lavorano negli alberghi ischitani, ad esempio, sono per me vere donne, solo lavorando sodo si può dire di essere davvero libere.  Per non parlare del problema di quello che oggi chiamano femminicidio. Chi nega che sia una piaga sociale si sbaglia. Il problema è che qui manca l’armonia sociale che ho imparato ad apprezzare in oriente. Semplificando, se l’uomo non è in armonia con la donna, tutto il resto va a rotoli.

 

Hai conosciuto tante donne in giro per il mondo, ma qual è la tua donna di riferimento?

(Abbassa lo sguardo) Colpita e affondata. L’universo femminile è talmente ampio e bello che non riuscirei a scegliere qualcuna a svantaggio di un’altra. In fotografia amo molto Susan Sontag e Diane Arbus. Nella vita Sei Shonagon e Madame Curie, ma anche mia madre. Non sono una mammona e devo dire che le ho fatto passare le pene dell’inferno quando ho scelto di abbandonare tutto e seguire il mio sogno, ma trovo in lei una forza che nessun uomo potrebbe mai avere.

 

Che messaggio daresti a chi come te vorrebbe lasciare tutto e seguire solo quello che vuole davvero?

Volli, sempre volli, fortissimamente volli. Il mondo è immenso e può offrire tante opportunità. Basta volerlo e avere il coraggio di andare a prendere ciò che ci spetta, anche a costo di qualche sacrificio.

 

Paola nel salutarci ha continuato a cercare nella sua memoria la donna che fosse davvero da modello per lei, ma scegliere, come dicevamo all’inizio, non è il suo forte. E va benissimo così, perché ci ha insegnato che quando un’anima è grande e la sua conoscenza e le sue esperienze sono così vaste, allora scegliere diventa davvero impossibile. Chissà che non sia lei a fare da modello alle aspiranti fotografe di domani. Sicuramente ne ha tutto il potenziale.

 

 

Elvira Agnese 

 

 

 

 

 

Foto - Paola Ghirotti

Foto - Lucia De Luise  

 

12 ottobre 2013

Dalla mostra "Omaggio al Giappone" - Foto Paola Ghirotti

Nella palestra di Watari adibita a recupero delle fotografie ritrovate nelle macerie una coppia ritrova l’album del proprio figlio - Foto  Paola Ghirotti

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