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LA MARCIA DEI CENTOMILA

PER LA TERRA DEI FUOCHI

 

 

 

          28 ottobre 2013

 

 

          Di Elvira Agnese 

 

Un fiume di persone, di mani che battevano sincronizzate, di colori, di striscioni, un fiume di speranze condivise, diverse eppure in qualcosa identiche: la speranza di riuscire a mettere fine a quello che è a tutti gli effetti il fenomeno più devastante del nostro Paese. Gli abitanti della Terra dei Fuochi si sono riuniti sabato 26 ottobre, appuntamento a Piazza Dante, Napoli, e messo via il colore politico, hanno portato con sé chi uno striscione, chi un foglietto di carta abbozzato al momento o un fischietto comprato sul posto, per sentirsi più saldamente parte di un tutto più grande, molto grande.

 

La piazza ha cominciato a riempirsi intorno alle 15. I primi ad arrivare quelli di Taranto, stretti in un’ideale fratellanza che si regge su una minaccia di morte quotidiana, non hanno voluto mancare all’appello. Poi pian piano sono giunti in tanti dalle isole e in ultimo, intorno alle 16 un’esplosione di volti, sorrisi allegri o un po’ meno, un’esplosione di piedi di figli, di sorelle, di fratelli, di nonni usciti dai tantissimi autobus provenienti dalla provincia. La piazza scoppiava quando il corteo è partito, sotto lo sguardo vigile e soddisfatto di Angelo Ferrillo, il blogger alla testa di questa iniziativa.

 

Ed è proprio grazie ad Angelo, insieme con Angela, Luigi, Eugenio, Donatella, Laura, Marco e tanti tanti altri se questa giornata ha avuto l’impatto sperato e soprattutto va a loro il merito di essere riusciti a mettere insieme così tante persone, unite sotto un’unica bandiera, quella della voglia di combattere. In piazza del Plebiscito, ultima tappa del corteo, si contavano più di 100.000 persone, proprio quante se ne prevedevano. Come un appuntamento, un caffè idealmente sorseggiato tutti insieme all’ombra del palazzo della Prefettura, per discutere insieme di un argomento che nuovo – certamente – non è. Sarà nuovo forse per la stampa, che come fa notare Angelo Ferrillo durante la sua conferenza lampo, ha sempre chiuso un occhio davanti alla gravissima situazione dei paesini campani. Sarà nuova per le Iene, che hanno atteso 5 anni per occuparsi di questo argomento, con un servizio che ha shockato tutta l’Italia. Ma nuovo sicuramente non è per coloro che lì ci abitano, ci lavorano, coltivano le loro terre e crescono i loro figli. E una novità non è nemmeno per le autorità che conoscono perfettamente la tragica situazione di una regione il cui numero di morti di tumore è il più alto di tutta Italia, le condizioni di un’area agricola vasta e produttiva che vede contaminati i suoi prodotti e decimati i suoi allevamenti.

 

Il 26 ottobre il problema è uscito fuori forte e altisonante, ha riecheggiato nei telegiornali e si è diffuso in maniera virale sui social network, ma Angelo, così come gli altri manifestanti non smettono di avere paura. Così attorno al repentino e apparentemente immotivato palesarsi della situazione a reti unificate dal nord al sud, dalla carta stampata alla radio, alle reti tv, il sospetto non sembra poi molto infondato. Perché i media hanno atteso 20 anni per dare voce alle nostre proteste? Perché hanno atteso che in ogni famiglia della zona ci fosse almeno un caso di tumore? Perché hanno atteso che i prodotti contaminati delle nostre terre finissero sulle tavole di ognuno di noi almeno una volta? E allora lo Stato deve fare molta attenzione ad evitare che la Camorra tragga vantaggio anche dalla fase finale del disastro che essa stessa ha causato. “Occhio a chi farà i lavori di bonifica!” tuona dalle mani di un ragazzo uno dei tanti striscioni. E se non sarete vigili voi, ci sono 100.000 persone che saranno ben liete di farlo al posto vostro.

 

 

 

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